Partito socialista italiano

Il congresso di fondazione del partito socialista italiano si riunì a Genova il 14 agosto 1892. All’assemblea – la cui anticipazione fu il congresso operaio italiano che si radunò a Milano il 2 e il 3 agosto 1891 – tenuta inizialmente alla Sala Sivori in Via Roma, presenziarono circa 200 delegati, rappresentanti di molteplici associazioni.

Per qualche cenno sugli antecedenti teorici basterà menzionare alcune figure rappresentative del pensiero democratico risorgimentale e in special modo quelle di Pisacane, di Ferrari e di Filippo Buonarroti, dal quale pensiero il socialismo italiano trasse alimento.

Sul piano internazionale un richiamo particolare deve essere fatto per Bakunin, le cui idee penetrarono in Italia con un certo impatto. Dall’anarchismo iniziale però, passo dopo passo, si assistette ad uno sviluppo verso posizioni legalitarie, che ebbero in Andrea Costa un valido ed eccellente propugnatore cosicché egli nel 1882 riuscì ad essere il primo rappresentante parlamentare del socialismo italiano.

Da un altro versante l’impulso delle lotte operaie contribuì alla crescita del movimento socialista. Un ulteriore elemento incidente sull’ascesa del socialismo fu l’avvicinarsi di settori intellettuali a questa dottrina. Il percorso teorico di Antonio Labriola per esempio può essere visto come la cartina di tornasole della forza di attrazione delle nuove idee. Da più parti comunque accorsero nelle fila del socialismo. Nel novero dei neofiti vanno elencati Turati, Kuliscioff, Prampolini, Gnocchi-Viani, Cabrini, Bissolati.

Alla fine del secolo si concretò la svolta che portò alla formazione di una organizzazione politica in grado di influenzare in maniera fondamentale la storia d’Italia. Confluirono nel partito dei lavoratori italiani, dal 1893 partito socialista dei lavoratori italiani e dal congresso di Parma del 1895 partito socialista italiano, svariate correnti. Si possono distinguere diversi filoni tra i quali risaltò il gruppo socialista milanese di Critica sociale, il gruppo legato a Prampolini e alla tradizione socialista emiliana, i delegati dei Fasci dei lavoratori, e la tendenza democratico-radicale, facente capo a Maffi. Resteranno esclusi dall’operazione unitaria gli anarchici che non credettero nella bontà del progetto messo in campo.

In ogni caso, il congresso di Genova rappresentò un passo fondamentale per la storia del movimento operaio e delle classi inferiori italiane. Superando la confusione ideologica e organizzandosi intorno ad un programma omogeneo consentì il dispiegarsi di un’azione politica appropriata alla situazione storica. Il partito socialista in Italia fu il primo a dotarsi di un’organizzazione moderna, modello per altre formazioni politiche, sia pure da esso lontane per composizione sociale e finalità.

Nei primi anni d’esistenza i socialisti dovettero fronteggiare difficili prove, come la repressione dei fasci siciliani e le leggi eccezionali susseguenti ai moti di Milano del 1898, ma l’indice di gradimento, il loro grado di rappresentatività e di inserzione sociale crebbero costantemente. Le elezioni politiche diedero ragione alla sua politica riformatrice. D’altro canto, sul piano della comunicazione il Psi modernizzò il suo strumentario, creando, dal 25 dicembre 1896, un organo di propaganda, l’Avanti, destinato a durare in vita per molti anni.

A cavallo del secolo XX l’epoca giolittiana sancì la legittimazione istituzionale del socialismo italiano. I risultati ottenuti sul piano del diritto di sciopero, e dei diritti sindacali in genere, stranamente però esasperarono il dibattito interno al partito. Sorsero due orientamenti : il primo quello dei riformisti divisava una graduale e pacifica evoluzione verso il socialismo, accettando il quadro democratico-parlamentare e il compromesso con il governo di Giolitti; il secondo, cosiddetto rivoluzionario, fortemente critico nei confronti del collaborazionismo e del ministerialismo, espresse l’umore radicale di cospicui settori militanti, anche se non ebbe una precisa caratterizzazione politica.

Le vicende interne all’organizzazione videro l’alternarsi delle due correnti alla direzione del partito. Solidamente ancorata alla guida del gruppo parlamentare, ma anche nelle associazioni economiche e sindacali, l’ala riformista si affermò ripetutamente nei congressi di Roma (1900), di Imola (1902) e nel 1908.

Nel 1912, al congresso di Reggio Emilia, la frazione radicale, alla cui guida si posero Mussolini, Serrati e Lazzari, riuscì a mettere in minoranza i suoi avversari, espellendo i riformisti di destra dal partito.

Fu tuttavia l’evento della prima guerra mondiale a produrre una delle crisi più importanti. Prima e durante il conflitto il Psi perse settori militanti, tra cui il direttore dell’Avanti che ideò e fondò il fascismo, anche se complessivamente si registrò una tenuta nelle fila del partito. Attestato sulla parola d’ordine neutralista “né aderire né sabotare”, il partito socialista, quasi una mosca bianca rispetto ai socialisti dei paesi belligeranti, sembrò a molti in preda ad una evidente ed inaccettabile impotenza.

Dopo la guerra, conformemente alle divisioni internazionali, si staccò dal partito la tendenza rivoluzionaria che prese il nome di PCI. Nel congresso di Livorno del gennaio 1921 la maggioranza del partito votò contro l’adesione ai 21 punti di Mosca producendo la scissione con la minoranza organizzata da un nucleo di dirigenti fra i quali si distinsero per qualità Bordiga e Gramsci.

Una nuova frattura si ebbe con la formalizzazione, durante il congresso di Roma dell’ottobre 1922, della disunione tra la corrente riformista e unitaria, che diede luogo al Partito socialista unitario, con quella massimalista.

Allora il Psi subì un grave contraccolpo e non fu in grado di arginare la pressione dell’ascesa fascista. Le leggi eccezionali del 1926 misero i maggiorenti socialisti nella condizione di esiliati. La direzione centrale riparò in Francia da dove cercò di riorganizzarsi prima aderendo alla Concentrazione antifascista nel 1927, in seguito coalizzandosi con le forze comuniste nel 1934, superando anni di aspri contrasti. Il patto di unità d’azione antifascista pose le premesse per la realizzazione dei fronti popolari in Francia e in Spagna, destinazione verso la quale partirono migliaia di volontari socialisti. Senonché nel 1939 i rapporti con l’Internazionale comunista si aggravarono di nuovo dopo la firma del patto Molotov-Ribbentropp. L’esplosione della seconda guerra mondiale riavvicinò le due sinistre che si accordarono a Tolosa nel 1941 insieme ai membri di Giustizia e Libertà, intesa che venne rinnovata a Roma nell’agosto del 1943.

In questo intermezzo, il partito si ricostituì nel 1942 per opera di Lizzadri, Romita e Vernocchi. Dopo poco, convergendovi il Movimento di unità proletaria, capeggiato da Lelio Basso, fece propria la dicitura di Partito socialista di unità proletaria. Il periodo resistenziale vide partecipi i socialisti attraverso le brigate Matteotti. Al momento della liberazione il PSIUP godette di ottima popolarità e nelle elezioni del 1946 si piazzò subito a ridosso della Democrazia cristiana, sorpassando il Partito comunista. Proprio il rapporto con i comunisti divenne la ragione della scissione del gennaio 1947, quando Saragat e Zagari uscirono dal gruppo socialista per dar luogo alla creazione del Partito socialista dei lavoratori italiani, meglio noto come Partito socialdemocratico italiano, mentre Nenni riprese la vecchia denominazione di PSI. Così, se da un lato i socialdemocratici aprivano un’accesa polemica sull’egemonia stalinista, il ceppo socialista sviluppò un’intesa con il Partito comunista per presentarsi associati alla consultazione elettorale del 1948. Il Fronte popolare, questo fu il nome adottato dalle liste comuni socialiste-comuniste, subì però una netta sconfitta, nell’ambito della quale il partito di Nenni segnò un significativo decremento di suffragi, inferiori per numero ai candidati alleati.

Fino al 1956 i socialisti rimasero inchiodati su una linea di unità d’azione con i comunisti. I mutamenti dello scenario internazionale ed in particolare l’evoluzione delle vicende interne all’Unione sovietica, incamminata sulla china della destalinizzazione, iniziata dal XX congresso del PCUS, e ancor di più le conseguenze della rivoluzione ungherese del 1956, provocarono un brusco slittamento di indirizzo. La scossa fu tale che si posero le basi per una drastica revisione della propria collocazione strategica nel quadro degli schieramenti mondiali. Nenni e Saragat si incontrarono a Pralognan nell’agosto del 1956 per tentare di ricondurre ad unità le due famiglie socialiste. Questo sbocco sarà possibile soltanto nell’ottobre del 1966, ma l’allontanamento del PSI dai comunisti fece un ulteriore balzo in avanti. Altra prova di una riconquistata autonomia politica il Partito socialista la fornì con l’appoggio esterno al governo di Amintore Fanfani nel 1962. L’anno seguente Nenni divenne vicepresidente del gabinetto Moro, sancendo in questo modo il pieno ingresso del partito in un esecutivo di centro-sinistra. Scontenta della deriva collaborazionista imboccata dalla maggioranza, la minoranza interna scelse la via della dissociazione, rompendo per andare a costituire un nuovo raggruppamento, il PSIUP, più caratterizzato a sinistra.

Nenni, per nulla scalfito nel suo prestigio e nella approvazione della base, proseguì imperterrito sulla linea intrapresa, nel quadro della quale si inscrisse il progetto di “costituente socialista”, da cui scaturì la fusione con il PSDI.

Il 1968 riportò indietro le lancette della storia. I dissensi sulla presenza governativa e i risultati scadenti conseguiti nelle votazioni parlamentari determinarono nell’estate del 1969 il distacco del troncone socialdemocratico dal grosso delle forze socialiste che entrarono in conflitto con le truppe democristiane. La formula del centro-sinistra entrò pertanto in una fase problematica, risentendo anche delle prime manifestazioni dell’autunno caldo, che chiamava ad un ricompattamento delle organizzazioni operaie. Il democristiano Rumor comunque, benché avesse dato vita ad un monocolore DC, nella primavera del 1970 si mise alla guida di un nuovo gabinetto di centro-sinistra. Questa volta il deterioramento della situazione politica, con le avvisaglie della strategia della tensione e i rischi insiti nel conflitto di classe, indussero i socialisti a non interrompere l’esperimento di cooperazione con i democristiani per arginare il pericolo potenziale di una regressione autoritaria.

Nel congresso di Genova del novembre 1972 De Martino venne designato alla carica di segretario del partito. Egli, quantunque favorevole alla prosecuzione del centro-sinistra, non poté eludere il sorgere di diatribe con gli alleati di governo, talché nell’inverno del 1975 il PSI dichiarò il suo ritiro dalla maggioranza.

Nondimeno, la conflittualità ritrovata con il centro democristiano gli valse poco in termini di consenso elettorale. Tant’è vero che alle elezioni del 1976 l’elettorato premiò a sinistra il PCI, lasciando ai socialisti uno striminzito 9,6% di voti. De Martino non resse alla sconfitta e il comitato centrale in luglio nominò alla segreteria Craxi, leader della tendenza autonomista, sostenuto da Lombardi. Con lui il PSI riacquistò nuova fiducia ed un orientamento ben chiaro che si poggiò su una forte rivendicazione di indipendenza rispetto alle due grandi formazioni popolari della DC e del PCI. Craxi riuscì a guadagnare crescenti favori dell’opinione pubblica durante il periodo che lo vide salire alla presidenza del consiglio (1984-1987) ottenendo per il partito un allargamento di seguito e di successo ragguardevole.

Il declino del PSI ha fatto seguito all’impasse del sistema politico e alla sua crisi strutturale e morale. Sicché la gran parte del gruppo dirigente socialista, travolto dagli scandali sulle tangenti e sul finanziamento illecito ai partiti, si è dissolto sotto i colpi delle inchieste giudiziarie. Craxi ha rassegnato le dimissioni nel 1993. Ridotto ai minimi termini elettorali, il Partito socialista ha tentato di rivivere con i Socialisti italiani di Boselli nel 1994, e con il Partito socialista di Intini, nel 1996.

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